Sette territori italiani negli ultimi 50 anni sono stati devastati da violenti terremoti, tre dei quali nell’ultimo decennio (Friuli Venezia Giulia nel 1976, Irpinia nel 1980, Marche e Umbria nel 1997, Abruzzo nel 2009, Emilia Romagna nel 2012, Centro Italia nel 2016).

Nel nostro paese non esiste però una politica nazionale per la ricostruzione e lo sviluppo post sisma. Questa mancanza ha generato disuguaglianze fra i diritti riconosciuti ai cittadini dei diversi territori terremotati e ha comportato nel tempo una produzione elevata e disomogenea di ordinanze e conseguenti procedure.

Il 13 ottobre 2018 il Festival della Partecipazione ha dunque dato spazio ad un evento intitolato “Per una politica pubblica della ricostruzione e dello sviluppo” curato dal Comitato Scientifico del Festival con il contributo del Forum Diseguaglianze Diversità, di ActionAid e di CittadinanzAttiva, con lo scopo di avviare un percorso di lavoro per la redazione di policy advice per una politica nazionale per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti da terremoto.

Con la consapevolezza che un tale percorso non possa che partire dalla voce di chi ha già vissuto tale esperienza, l’evento ha visto la partecipazione di 40 amministratori locali, rappresentanti di associazioni e comitati, cittadine e cittadini provenienti dai territori italiani colpiti dai sismi degli ultimi 50 anni.

La giornata di lavoro del 13 ottobre ha permesso di costruire e condividere conoscenze sulle caratteristiche socio economiche dei territori terremotati, sui diritti riconosciuti ai cittadini nei diversi processi di ricostruzione, sui processi partecipativi attivati in fase di emergenza e ricostruzione. Prima dell’evento sono state raccolte e sistematizzate delle informazioni preliminari su ogni tema, che sono state quindi condivise, confermate e ampliate durante la giornata di lavoro attraverso il confronto e le narrazioni dei protagonisti.

All’interno di questa cornice di conoscenze condivisa, si è avuto modo di individuare le problematiche comuni vissute durante i diversi processi di ricostruzione e ipotizzare delle vie risolutive da consigliare per una politica pubblica sulla ricostruzione e lo sviluppo post sisma.

La ricomposizione della cornice di conoscenze sulle caratteristiche socio economiche dei territori terremotati e sui diritti riconosciuti ai cittadini durante la fase di ricostruzione è stata condotta dal Gran Sasso Science Institute e dall’Ufficio Speciale per la Ricostruzione dei Comuni del Cratere. ActionAid e CittadinanzAttiva si sono occupati della sistematizzazione di informazioni sui processi partecipativi attivati nelle diverse aree. Su quest’ultimo tema in particolare si focalizzerà questo contributo.

Una cornice condivisa di conoscenze


Il Gran Sasso Science Institute ha restituito una mappa dell’Italia a rischio: sono le aree più periferiche e fragili ad essere maggiormente esposte ai disastri naturali e, soprattutto, al rischio sismico. Se alla mappa delle aree maggiormente a rischio, si sovrappone la mappa delle aree vulnerabili, si ottiene una geografia che indica in modo chiaro la aree d’Italia che necessitano di interventi e politiche adeguate.

Sebbene accomunate dagli indici di rischio sismico e di vulnerabilità, le aree terremotate e a rischio presentano caratteristiche socio-economiche molto diverse. Basti pensare alle differenze tra il terremoto dell’Emilia Romagna, definito “terremoto industriale” per l’impatto su un sistema produttivo rilevante per tutta la nazione, e il terremoto del Centro Italia che ha colpito aree in via di spopolamento e in fase di recessione economica. Sotto il comune cappello del rischio e della vulnerabilità, vanno dunque considerate le differenze socio-economiche per tarare una ricostruzione adeguata al contesto.

L’Ufficio Speciale per la Ricostruzione dei Comuni del Cratere (USRC – sisma 2009) ha messo a confronto i diritti riconosciuti ai cittadini nei processi di ricostruzione analizzando le strutture di governance e le procedure previste per la pianificazione urbanistica e la ricostruzione privata [leggi il contributo qui].

Le differenze più rilevanti riguardano le modalità in cui, tramite diverse strutture di governance, si sia potenziato o depotenziato il ruolo delle amministrazioni regionali e locali, avvicinando o allontanando dai territori lo spazio del confronto e della decisione. Anche la ricostruzione privata mostra delle differenze considerevoli nella titolarità dei contributi e negli interventi ritenuti ammissibili, cioè a parità di danni subiti il sostegno ai cittadini nelle diverse ricostruzioni è stato diseguale nelle procedure e nelle dimensioni economiche.

Il quadro conoscitivo sui processi partecipativi attivati nei diversi territori è stato ricostruito e condiviso da ActionAid e CittadinanzAttiva tramite 28 interviste telefoniche ad alcuni dei partecipanti all’evento, realizzate in preparazione della giornata di lavoro, e tramite la narrazione in sede dell’evento dalla viva voce dei protagonisti.

L’eterogeneità delle pratiche partecipative è marcata, ma un elemento accomuna tutti i territori e tutti i racconti: i processi partecipativi hanno avuto un picco nella fase emergenziale, ma si sono affievoliti nella ricostruzione. In particolare i primi rientri in casa segnano uno spartiacque tra l’impegno in un’azione collettiva e un ripiegamento sulla dimensione personale e famigliare.

Tra i processi partecipativi narrati ci sono dei veri e propri processi di co-progettazione, come i laboratori di urbanistica partecipata promossi dal comune di Mirandola in Emilia Romagna, la Legge di Iniziativa Popolare per la ricostruzione promossa dai cittadini aquilani, la redazione di Statuti dei Luoghi contenenti linee guida per la ricostruzione e lo sviluppo promossa in alcuni comuni del cratere sismico abruzzese con esiti e applicazioni differenti (il comune di Fontecchio ha per esempio adottato lo Statuto dei Luoghi redatto dai cittadini, mentre il Comune dell’Aquila per la frazione di Pescomaggiore non lo ha fatto).

Il sistema di gestione dei campi ha avuto un impatto decisivo sulle forme di partecipazione, sulla possibilità di attivarle e sui conflitti. Nei campi aquilani vigeva un divieto di aggregazione spontanea, imposto da un sistema di governance fortemente centralizzato che ha depotenziato il livello locale. Nei campi friulani invece i cittadini hanno avuto la possibilità di organizzarsi in “comitati delle tendopoli”, connessi tra di loro tramite un sistema di collegamenti e la redazione di un “bollettino della tendopoli”.

Tutti i territori hanno vissuto un aumento esponenziale di forme di aggregazione, come associazioni e comitati, utilizzando prevalentemente la forma assembleare per interloquire anche con i diversi livelli amministrativi e gestire il flusso di informazioni.

La partecipazione dunque si è rivelata una dimensione trasversale, prevalentemente attivata dal basso, e utilizzata con scopi diversi: dalle assemblee con soli scopi informativi e consultivi sino alla progettazione partecipata di piani urbanistici e di linee guida per lo sviluppo.

Il terremoto del Centro Italia spicca sul tema della partecipazione per il primo tentativo di regolamentazione dei processi partecipativi da parte del livello amministrativo nazionale.

L’ordinanza n.36 e i Regolamenti sulla partecipazione nel Centro Italia


Nel settembre 2017 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nello specifico il Commissario del Governo per la Ricostruzione, ha emanato l’ordinanza n.36 “Disciplina delle modalità di partecipazione delle popolazioni interessate dagli eventi sismici verificatosi da far data dal 24 agosto 2016 all’attività di ricostruzione”.

L’ordinanza contiene dei principi generali sulla partecipazione delle popolazioni nell’attività di ricostruzione pubblica e privata (art. 1) che prevedono “modalità di ascolto e consultazione” per “popolazione dei comuni, loro associazioni e organismi di partecipazione comunque denominati e costituiti per la tutela di interessi diffusi”.

L’articolo 2 stabilisce che entro 60 giorni dall’entrata in vigore dell’ordinanza, i Comitati Istituzionali debbano emanare un provvedimento che indichi nello specifico le modalità di partecipazione attivabili, idonee però ad assicurare “la massima celerità, efficacia ed efficienza degli interventi e delle iniziative previste”.

L’ordinanza prevede inoltre (art. 3 e 4) che nella predisposizione degli strumenti urbanistici attuativi e nella pianificazione urbanistica la popolazione venga coinvolta e possa fare proposte e osservazioni entro 45 giorni dalla perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione.

Passati i 60 giorni però nessun Comitato Istituzionale ha emanato il provvedimento, rendendo dunque l’ordinanza inattuabile.

Due comuni, Amatrice prima e Arquata del Tronto poi, hanno deciso di dotarsi comunque di uno strumento comunale per regolamentare la partecipazione.

Con Delibera del Consiglio Comunale n.16 del 3-6-2017 il Comune di Amatrice ha infatti approvato il “Regolamento sulla partecipazione della popolazione al processo di ricostruzione post sisma”. Il regolamento definisce nelle premesse i diversi livelli di coinvolgimento in cui si può articolare la partecipazione: informazione, consultazione, dialogo, ascolto, partecipazione attiva, concertazione e adesione ai programmi. Il Regolamento obbliga i proprietari degli immobili a costituirsi in associazione definendo dei criteri precisi per la rappresentatività, divenendo così uno strumento che definisce la prassi delle relazioni tra i proprietari degli immobili e l’amministrazione che gestisce la ricostruzione.

Il regolamento di Amatrice prevede una fase iniziale di consultazione (art.7), una successiva fase di concertazione (art.8) e una fase finale di pianificazione convenzionata (art.9). Alla fase della consultazione possono partecipare tutte le associazioni dei proprietari per costruire un quadro conoscitivo sullo stato dei danni degli spazi pubblici e degli spazi privati, per ricostruire la storia urbanistico – architettonica, sociale ed economica della frazione e fare una prima ipotesi di pianificazione e di cantierizzazione. La fase della concertazione permette alle associazioni dei proprietari di esprimere un parere preventivo sui piani prima della presentazione di questi ultimi in Consiglio Comunale. Nella fase della pianificazione convenzionata si procede alla stesura della convenzione per l’esecuzione dei lavori previsti dallo Strumento Urbanistico Attuativo.

Anche il Comune di Arquata del Tronto, con Delibera di Consiglio Comunale del 29-12-2017, ha approvato il “Regolamento sulla partecipazione ai piani di ricostruzione” che ricalca fedelmente il regolamento di Amatrice.

Entrambi i regolamenti dunque sono focalizzati sulle procedure per la pianificazione urbanistica della ricostruzione, guardando esclusivamente agli aspetti infrastrutturali e fisici di quest’ultima, attuando di fatto la partecipazione solo in forma di consultazione.

7 terremoti, 3 problematiche comuni


La discussione sulle caratteristiche socio-economiche, sui diritti riconosciuti e sulle forme di partecipazione attivate ha permesso ai 40 partecipanti all’evento “Per una politica pubblica della ricostruzione e dello sviluppo” di individuare le problematiche più rilevanti e comuni vissute durante i processi di ricostruzione nei diversi territori.

Per questioni di spazio non è possibile riportare la discussione dei diversi gruppi di lavoro nella sua interezza, ma viene riportata una sintesi dei punti di convergenza.

Le problematiche individuate sono riconducibili a tre ambiti tematici: la pianificazione urbanistica, la ricostruzione economica e sociale, il riconoscimento e la regolamentazione dei processi partecipativi.

L’assenza di una pianificazione urbanistica preventiva relativa al rischio sismico ha condotto spesso a prendere decisioni di fretta, senza il coinvolgimento dei cittadini e senza un quadro conoscitivo accurato, in un momento di grande emotività e sofferenza, correndo così il rischio di non ponderare bene le alternative.

La ricostruzione economica e soprattutto la ricostruzione sociale sono state messe in secondo piano rispetto alla ricostruzione fisica, rischiando così di accelerare effetti negativi quali lo spopolamento, la mancanza di coesione sociale, la stagnazione economica. Non si è inoltre considerato adeguatamente che i piani di riallocazione, le modalità di gestione delle tendopoli e l’inclusività/esclusività dei processi decisionali avrebbero inciso fortemente e nel lungo termine sulla ricostruzione sociale.

I processi partecipativi sono stati lasciati all’autorganizzazione delle comunità locali o alla sensibilità dei singoli amministratori. Nella maggior parte dei casi sono stati ritenuti poco efficaci in quanto gli esiti di tali processi non sono stati presi in considerazione dalle strutture di governance e le decisioni sulla ricostruzione divergono da quanto proposto dai cittadini.

Tramite una discussione avvenuta in tavolo di lavoro eterogenei per provenienza, ruoli e competenze, i partecipanti all’evento hanno individuato delle vie percorribili o dei punti di partenza per trovare delle soluzioni alle problematiche condivise, utili per una policy pubblica sulla ricostruzione.

Tecnici, amministratori e cittadini sono stati molto compatti nel sostenere che la pianificazione preventiva del rischio sismico dovrebbe essere obbligatoria per tutte le amministrazioni, aperta a processi partecipativi, e dovrebbe mettere a sistema informazioni differenti come per esempio quali zone non edificabili potrebbero divenire aree di ricovero della popolazione e dei mezzi, quali risorse abitative inutilizzate potrebbero essere messe a disposizione, in che modo si potrebbe gestire la continuità dei servizi essenziali, in particolare dei servizi scolastici, nelle fasi di emergenza e ricostruzione.

Non è stata articolata nel dettaglio la risposta alle problematiche sulla ricostruzione sociale ed economica, ma è stata sostenuta da tutti i partecipanti la necessità di avere maggiori risorse dedicate, umane ed economiche, così come avviene per la ricostruzione fisica, in modo da avviare processi di ricostruzione sociale e di sviluppo, limitando l’acuirsi di problemi già esistenti come lo sgretolamento della coesione sociale e lo spopolamento.

La discussione sulle possibili soluzioni alle problematiche dei processi partecipativi è stata ricca e animata, data l’eterogeneità delle esperienze e dei punti di vista. Il punto di convergenza si è trovato nella comune necessità di dare ai processi partecipativi un riconoscimento amministrativo tramite un regolamento unico che metta a disposizione risorse per favorire e facilitare tali processi, che indichi gli ambiti di azione sui quali i processi partecipativi possono lavorare, che vincoli l’applicazione delle decisioni esito dei processi e sanzioni chi non favorisce la partecipazione.

Subito dopo il Festival della Partecipazione, il lavoro si è concentrato sulla percorribilità di queste vie risolutive. Per ognuna di queste sono stati intervistati tre tecnici, tre accademici oltre a tre persone dei territori che durante la giornata di lavoro hanno dato un particolare contributo.


Qui invece puoi trovare il documento finale dell’evento a L’Aquila (15 ottobre 2018)

(Prime) conclusioni


Le vie risolutive per le problematiche legate alla pianificazione preventiva dei rischi, alla ricostruzione economica e sociale e alla regolamentazione dei processi partecipativi sembrano dunque essere condivisibili e percorribili.

Ci sono esempi, pochi ma di successo, su come possa essere legislativamente sostenuta e tecnicamente realizzata la pianificazione preventiva dei rischi, esempi che danno indicazioni chiare su come si possa estendere una pratica fondamentale per non incorrere nelle problematiche già vissute dai territori terremotati nel caso di nuove emergenze.

Servono legislazioni regionali che inglobino la cultura del rischio, serve un incentivo legislativo per il coordinamento dei piani settoriali con la pianificazione ordinaria, servono risorse umane preparate per costruire i quadri conoscitivi e integrarli.

La ricostruzione economica e la ricostruzione sociale dovrebbero essere considerate, per importanza e per risorse necessarie, alla stregua della ricostruzione fisica, cercando di creare incontri tra soggetti esterni e locali in grado di generare visioni e azioni che puntino ad un futuro con condizioni socio economiche migliori di quelle pre sisma.

Infine, è evidente come i processi partecipativi siano stati attivati e vengano considerati come processi trasversali che toccano diverse fasi e temi della ricostruzione.

A parte alcune esperienze di progettazioni partecipate, la maggior parte dei processi partecipativi attivati su input della Pubblica Amministrazione hanno un carattere prettamente consultivo. Potremmo dunque collocarli nei gradini più bassi delle scale delle partecipazione (Arnstein, 1969 ; Wilcox, 1994), mentre i processi partecipativi attivati dal basso e quelli desiderabili in una ipotetica futura emergenza sono dei processi che potremmo collocare nei gradini più alti delle scale della partecipazione, dove si trovano sia la progettazione che la democrazia partecipativa.

Diversi esempi di regolamenti e leggi regionali o comunali hanno tentato la codificazione e la regolamentazione di processi partecipativi ( la Regione Toscana e la Regione Puglia tra le prime). Sono esempi ai quali guardare con la consapevolezza però delle peculiarità che assume una situazione post catastrofe.

C’è ancora molto lavoro da fare dunque, ma la direzione è tracciata.

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