Di cosa ci parla Venezia
In questi giorni abbiamo seguito con apprensione l’evolversi degli eventi nella laguna veneziana.
Ancora le residenti e i residenti sono impegnati a salvare merci, mobili e pulire case e negozi; con meno clamore, sentiamo il bisogno di esprimerci su cosa davvero ci dice Venezia…pronte e pronti ad attivarci per il futuro della laguna…e dell’Italia.
L’acqua alta delle ultime settimane è stata certamente eccezionale e la dinamica ampiamente descritta dai mezzi di informazione. Da pochi però sono state indagate le cause strutturali, la risposta civica ha avuto scarsa visibilità, le strategie per “salvare Venezia” si sono appiattite su poche proposte non considerandone la complessità.

Quello che ci sembra manchi, ancora una volta, è proprio una visione strategica per il Paese che si possa tradurre in azioni sistemiche, con uno sguardo di lungo periodo, in particolare per quelle aree del Paese che vivono una realtà di costante fragilità.
Poco cambia se parliamo di aree interne appenniniche con un’elevata pericolosità sismica, se guardiamo lo stretto di Reggio e Messina o il complesso ecosistema della laguna di Venezia.
Se vogliamo affrontare seriamente la sicurezza dei territori e delle persone non possiamo più limitarci a gestire le emergenze. Proprio perchè saranno sempre più frequenti fenomeni di questo tipo – anche a causa dell’emergenza climatica che stiamo vivendo – con danni sempre maggiori, è quantomai necessario applicare una seria politica per la riduzione dei rischi.
Quello che Venezia ci dice è che per decenni abbiamo dato priorità al profitto rispetto alla sicurezza delle persone e alla preservazione della laguna. Abbiamo ampliato oltre ogni misura le bocche di porto (per permettere il transito di grandi navi) con il risultato che in alcune zone si raggiunge la quota meno 57, il punto più profondo dell’Adriatico.
Inoltre, Venezia è la terza città portuale più inquinata d’Europa: per lo smog delle navi e per i fanghi depositati sul fondo dei canali che rendono micidiali le acque, le stesse che ora consumano i marmi di San Marco.
E ignoriamo delle norme (esistenti!) come quella del 1973, che prevedeva di escludere i traffici pesanti e pericolosi o, come quella nata nel post alluvione di Firenze del 1966 che impediva l’abitabilità nei piani terra.

Proprio quei piani terra che spesso oggi vengono usati per affitto breve: ad agosto 2019, ad esempio, su Airbnb c’erano ben 8907 annunci per stanze o appartamenti nel Comune di Venezia, il 13% in più rispetto all’anno precedente. Oggi si discute di de localizzare anche le poche sedi universitarie rimaste dando il via al definitivo smantellamento di quei servizi che dovrebbero assicurare l’abitare in una città. La turistificazione completa di Venezia porterà alla sua morte esattamente come l’innalzarsi delle maree. E suona beffardo la proposta di conferire agli ultimi residenti il titolo di “custodi della laguna”, assomiglia davvero troppo alla qualifica di custodi di un museo.
Vogliamo salvare Venezia? Partiamo col decidere una volta per tutte che vogliamo salvare la città (con i suoi cittadini e cittadine dentro) e arrendiamoci a guadagnarci un po’ meno.
Fermare l’accesso alle grandi navi, a ogni progetto di allargamento dei canali o di canali sotterranei, al dilagare di ospitalità turistica, promuovere politiche abitative per studentesse, studenti e residenti, rendere realmente inabitabili i piani terra sono alcune delle priorità per Venezia, ben prima di riparlare di MOSE.
Facciamo partecipare i residenti alle decisioni sul futuro della città. Venezia negli anni si è mobilitata per salvarsi, con l’Osservatorio Civico Indipendente sulla casa e sulle residenze, con la comunità che si è attivata per salvare l’isola di Poveglia o per fermare le grandi navi. Sono sempre stati inascoltati! E oggi sono sempre loro che reciprocamente si aiutano ad uscire da questa crisi. Cambiamo rotta, ascoltiamoli, rendiamoli protagonisti!

Le cittadine e i cittadini di Venezia continuano a mostrare un grande impegno civico nel gestire dal basso l’emergenza. Lo stanno facendo con immensa solidarietà: lo si vede sui gruppi facebook, telegram e whatsapp che coordinano centinaia di volontari per rimuovere mobili, aggiustare impianti elettrici, salvare libri, aiutare gli sfollati.
Venezia ci racconta anche che è il momento di riconoscere ufficialmente il ruolo delle cittadine e dei cittadini come agenti di protezione civile dando loro strumenti di coordinamento avanzati, aprendo le mappe e i dati. Ci abbiamo provato anche noi con la piattaforma Terremotocentroitalia.info. Subito dopo le scosse del 2016 che hanno devastato i territori e le comunità del centro Italia, questo strumento ha funzionato proprio per valorizzare e coordinare l’aiuto spontaneo. Abbiamo provato, negli anni, a cercare una interlocuzione istituzionale per stabilizzare e valorizzare questa esperienza. Siamo sempre rimasti inascoltati.
Ma Venezia ci deve parlare anche della crisi climatica che sta affrontando l’Italia.
Secondo l’archivio Severe Weather Europe dall’inizio del 2019 l’Italia ha visto il verificarsi di 1543 eventi climatici estremi. Solo per fare un paragone in Spagna ce ne sono stati 248 o il Regno Unito 190.
Secondo molti studiosi l’Italia sta assumendo i connotati di hot spot climatico e siamo indubbiamente uno dei paesi europei più esposti alla crisi climatica. Per salvare vite umane e territori la prima cosa è smettere di ignorare l’emergenza climatica e iniziare ad agire seriamente e sistematicamente per la riduzione del rischio e l’inversione del modello sviluppista. Venezia ci parla di Taranto e delle scelte che dovremmo fare verso la riconversione del nostro Paese.