La Carta di Rieti per una comunicazione responsabile nei disastri naturali si basa su nove comportamenti. Nove attitudini. Da adottare, e da implementare nei contesti emergenziali derivanti da crisi naturali e ambientali, per la corretta gestione dei flussi di: Comunicazione – le organizzazioni che comunicano sul territorio – Informazione – il timbro narrativo funzionale al racconto sui media e sui social media – e Governo delle relazioni inteso come gestione dei flussi relazionali in entrata e in uscita con tutti i pubblici.

Per Roberto, che abbraccia Carla nel 1980.

Quel che si trova nell’effetto
era già nella causa.

Henri Bergson, L’evoluzione creatrice

Chiunque campi di e con le parole sa che ogni testo, ogni progetto racchiude al proprio interno una parola chiave che lo riassume, lo posiziona e, in qualche modo, ne descrive l’animus. La parola chiave della Carta di Rieti è sempre stata “servizio”. Spontaneo ma non per questo anarchico o disorganizzato. A dircelo sono i sette anni trascorsi e l’evidenza di un progetto che – pur tra mille difficoltà di varia natura – è riuscito a maturare in maniera graduale e non dopata, con la giusta e doverosa attenzione per ogni momento.

Se nel 2012 – con l’iniziativa Task Force Ferpi per l’Emilia Romagna a cui la Carta di Rieti deve moltissimo – l’obiettivo era quello di una esplorazione di un tema su cui ciascuno dei partecipanti aveva una percezione soggettiva, nel corso dei successivi tre anni si è arrivati, non senza strappi e confronti serrati, ad una aggregazione essenziale che non interessava solo la dotazione strumentale e tecnica ma, ancora di più, il modo in cui utilizzare quegli strumenti e quelle tecniche.

Il libro Disastri naturali: una comunicazione responsabile? rappresenta, in tal senso, una naturale conseguenza: la volontà di testare – e, in qualche modo, stressare – quelle prime evidenze all’interno di un dibattito sempre più pubblico e trasversale.

Credo che il 2016 sia stato, per il progetto e per tutti noi, un anno fondamentale. Lo è stato sicuramente per me che, fino a quel momento, avevo opposto, all’intenso peso emozionale che gravava su molti dei colleghi che avevano vissuto in prima persona l’esperienza del terremoto, una ferrea logica razionale, concentrata sulla tecnica comunicativa. Come abbiamo avuto modo di scrivere nell’introduzione di Disastri naturali: una comunicazione responsabile? L’Aquila, l’Emilia Romagna e il Centro Italia. Verso un modello strutturato di ascolto e di resilienza, la tecnica era (è) sicuramente utile rispetto allo scopo di contrasto ai molteplici effetti di una calamità naturale ma, tuttavia, non sufficiente per “coprire” le tante unicità che ogni territorio esprime.

Letto così sembra un dato periferico, quasi scontato ma vi assicuro che su di me – forse anche a causa di un carattere razionale – ha avuto l’effetto di un cazzotto in piena faccia, doloroso come solo un cazzotto sul viso può essere e, nel contempo, salutare.

Credo che molta di quella nuova consapevolezza – maturata nel corso degli anni anche grazie allo splendido confronto che io e Biagio abbiamo instaurato con il vescovo di Rieti Domenico Pompili che ha ospitato e accompagnato l’intero processo di chiamata all’azione – sia presente, oggi, nella Carta di Rieti. Nello stesso modo in cui la Carta di Rieti è strutturata e negli obiettivi che si propone. Non un documento prescrittivo in cui elencare procedure e protocolli ma, al contrario, un documento “aperto” che si nutre degli apporti terzi e che, in quegli stessi apporti, rinviene oltre che forza anche legittimazione ed essenza.

Non si tratta, come taluni hanno insinuato, di un approccio buonista o, peggio, di una mancata assunzione di responsabilità. La stessa presenza di quei principi fondanti vincolanti per tutti noi ne è una prova tangibile. Piuttosto, si tratta di un metodo necessario al rispetto di quell’unicità (territoriale, geografica, comunitaria e produttiva) sopra evocata e funzionale ad una azione di contrasto e di ripresa sempre più organica. Sempre meno costretta al sacrificio di una o più componenti e, dunque, sempre più valida ed efficace nel medio lungo periodo.

Sono perfettamente consapevole che la Carta di Rieti non rappresenti altro che un ennesimo inizio e che la nostra data di congedo è ancora lontana. Molto dipenderà da noi, dal modo in cui sapremo spiegare e ascoltare, e molto dipenderà dai nostri interlocutori e dai tempi di reazione di quegli ambiti che sono, a pieno titolo, protagonisti di questa Carta.

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