Il testo che segue raccoglie la prima bozza delle raccomandazioni sulla risposta all’emergenza post – catastrofe. I contenuti presentati sono l’esito dell’elaborazione di quanto è emerso durante gli eventi della campagna #sicuriperdavvero. È possibile commentare questo testo fino al 30 maggio 2020.

PREMESSA

I contenuti che seguono e le relative raccomandazioni sulla prima risposta all’emergenza sono state elaborate sulla base dei contributi raccolti durante il percorso della campagna Sicuri per Davvero. La tappa che ci ha consentito di raccogliere i contenuti sulla prima risposta all’emergenza è stata quella del percorso partecipativo realizzato con la popolazione di Amatrice e riguardante la valutazione dal basso della gestione post – sisma 2016. 

Il processo con la comunità ha permesso di raggiungere quasi 150 persone attraverso incontri di gruppi, interviste individuali di approfondimento e la somministrazione di questionari. La sintesi e le raccomandazioni che seguono si basano sulle richieste espresse dalle persone e dai tanti stakeholders intervenuti negli altri eventi territoriali della campagna. I contenuti sono stati ulteriormente arricchiti grazie all’approfondimento della normativa e della documentazione italiana e internazionale in tema di prima risposta all’emergenza post – catastrofe.

L’Italia è in grado di muovere velocemente una macchina operativa di risposta alle catastrofi attraverso il Sistema Nazione di Protezione Civile regolato dal Codice di Protezione Civile, anche grazie alle riflessioni confluite nel cosiddetto  Metodo Augustus. Quest’ultimo rappresenta una sintesi coordinata degli indirizzi per la pianificazione, per la prima volta raccolti in un unico documento operativo; delinea in particolare il modello di intervento della Protezione Civile in caso di emergenza e descrive il metodo di coordinamento di tutti i centri operativi (DICOMAC, CCS, COM, COC) dislocati sul territorio.  Nonostante il grande sforzo organizzativo di comando e controllo, la risposta alle emergenze post – catastrofe in Italia presenta ancora lacune in termini di standard qualitativi messi in campo per tutelare la sicurezza (security) e il benessere (safety) delle popolazioni colpite oltre a una scarsa attenzione alle disuguaglianze basate sul genere, sull’età, sulle abilità, sullo status economico-sociale e sulla provenienza geografica.

Su questi aspetti esiste invece una solida prassi internazionale, chiaramente delineata negli Sphere standards (Sphere Handbook – Manuale sugli standard umanitari internazionali), ovvero l’insieme di norme umanitarie più comunemente usate e conosciute e in altri manuali internazionali come il Gender Handbook.


Lo stato di emergenza a seguito di un evento calamitoso non deve infatti significare sospensione dei diritti umani e della dignità personale. L’improvviso venir meno delle condizioni e delle risorse primarie per la sopravvivenza non priva nessun essere umano del bisogno di protezione, di socializzazione, di intimità, di relazioni col prossimo, di benessere. Non si dovrebbe dunque cessare di preservare la dignità umana in assenza di una casa, dei propri averi, degli  affetti.
Inoltre, quando un disastro colpisce, poiché appunto la macchina umanitaria si muove rapidamente, il rischio di porre poca attenzione alle disuguaglianze basate sul genere, sull’età, sulle abilità, sullo status economico-sociale e sulla provenienza geografica è elevato. Applicare sin da subito delle lenti  intersezionali nel mettere in campo la risposta umanitaria significa semplicemente riconoscere che le persone hanno bisogni e capacità  diverse  e che devono essere abilitate a dare il loro contribuito in maniera diversa. Partecipare attivamente fin dalla prima risposta è sia un mezzo che un fine in sé: un mezzo in quanto permette di migliorare la qualità degli aiuti mettendo a frutto le conoscenze della comunità locale, un fine perché contribuisce a migliorare il “senso di sé” di tante persone facendole sentire da subito parte di un progetto di rinascita.. L’auto-organizzazione ha effetti positivi sugli individui perché accresce il senso di realizzazione individuale, promuove l’autonomia e la coesione, riduce il senso di alienazione specialmente in circostanze traumatiche [1].

RACCOMANDAZIONI

L’obiettivo di ogni intervento in post catastrofe deve essere quello di promuovere in maniera equa i diritti umani e di proteggere in egual misura donne, uomini,  ( di diverse età) ragazzi e bambini/e
Ciò significa attuare un intervento umanitario basato sull’equità, che possa garantire una risposta adeguata ed efficace alle reali necessità di ciascun gruppo di persone. Un’attenzione particolare al genere va considerata poiché è evidente quanto le donne  – a causa di discriminazioni pregresse e dei differenti ruoli che ricoprono all’interno di alcune società e comunità  –  siano maggiormente a rischio nei contesti umanitari, ma anche decisamente capaci di costruire una risposta attiva e comunitaria in situazioni emergenziali. Analizzando le esperienze post catastrofe nel territorio nazionale emerge in modo chiaro che la gestione della risposta non tiene conto del “gender mainstreaming”[2]. Non si ritrovano inoltre pratiche che mettano in risalto l’importante contributo che le donne attuano, tantomeno una politica che favorisca e valorizzi la partecipazione delle stesse nelle scelte che le riguardano.

Con queste premesse si riportano qui di seguito le raccomandazioni per la fase di risposta, raggruppate in quattro sottotemi: standard qualitativi di assistenza alla popolazione; criteri di equità; partecipazione della popolazione colpita; comunicazione in emergenza. 

a) Standard qualitativi di assistenza alla popolazione

1) Il Sistema italiano di Protezione Civile si deve dotare di standard qualitativi, che attingono agli standard di risposta umanitaria ampiamente riconosciuti e attuati dalla comunità internazionale. Tali standard devono essere pubblici e consultabili; inoltre in fase emergenziale la popolazione colpita deve essere informata sull’attuazione di questi standard qualitativi. Deve essere definito un quadro di indicatori coerente con gli standard in base col quale poter  realizzare il  monitoraggio e la valutazione qualitativa della risposta, garantendo anche il coinvolgimento diretto della popolazione colpita e assistita.

2) Attivare un Coordinamento Pubblico – Privato che si occupi  della salute mentale,  benessere e  supporto alla persona, per le popolazioni colpite. Il coordinamento sarà composto dai Dipartimenti/Centri di Salute Mentale di riferimento dell’area, dagli Ambiti Territoriali Sociali, dal Terzo settore sociale locale, dalle organizzazioni di Protezione Civile accreditate e da quelle che operano nel supporto alla persona pur senza accreditamento. Un esempio virtuoso di questo tipo di azione è quella attuato dalla Regione Marche, proprio durante il sisma 2016.

3) Assicurarsi che le risorse umane impiegate siano adeguatamente qualificate: dagli operatori e operatrici di supporto psicologico specializzati nel trattamento del trauma in età adulta e in età infantile, ai volontari e volontarie che si occupano delle attività di animazione per i/le minori nelle aree di ricovero formati in pedagogia nell’emergenza. Sarebbe inoltre opportuno limitare il turnover degli operatori e operatrici impegnati nel supporto  psicologico per dare quanto più possibile continuità tra utente e chi presta il servizio.

4) Garantire che la dignità della popolazione colpita venga preservata  pur nella necessità di garantire norme di ordine pubblico e sicurezza; le misure restrittive applicate in prima risposta, possono essere percepite come non motivate e fortemente  lesive della libertà personale [3]

5) Prevedere una differenziazione nell’utilizzo  e/o una fruizione differenziata degli spazi  (es. mensa, servizi igienico – sanitari) tra  le forze dell’ordine ,volontarie/i di protezione civile  e la popolazione colpita, anche quando questa non raggiunge i 20.000 abitanti. 

b) Criteri di equità: inclusività e rispondente al genere

Per essere certi di attivare una risposta umanitaria commisurata ai bisogni ed tesa ad eliminare le disuguaglianze tra le persone, si raccomanda:

6) raccogliere e utilizzare dati disaggregati, al fine di effettuare una sorta di  “microzonazione sociale”, utile a predisporre risposte adatte a bisogni di tutti e tutte e a mettere le basi per politiche pubbliche eque anche in emergenza [4].

7) Coinvolgere e consultare donne, uomini, ragazzi e ragazze in ogni fase della risposta umanitaria, dalla progettazione dell’intervento sul territorio, all’implementazione, al monitoraggio e valutazione. Solo in questo modo potranno essere predisposti servizi a loro appropriati, accessibili, sicuri. Riconoscere e garantire, in particolare,  il diritto delle donne di partecipare nelle scelte nel momento in cui i loro diritti sono maggiormente messi a rischio e loro stesse si ritrovano in condizioni di vulnerabilità.

8) Mettere in campo misure di assistenza alla popolazione adatte ai bisogni di fasce della popolazione in condizioni di maggiori fragilità o esposizione ai rischi connessi al post – catastrofe [5].

9) In caso di installazione di campi tende, predisporre “kit di emergenza” (NFIs – Non Food Item Kits), differenziati in base al genere e all’età, da consegnare alle persone subito, non appena si effettua il censimento della popolazione che accede alle strutture. Nel kit dovrebbero essere presenti almeno due cambi completi e materiali sanitari e igienici di prima necessità.

10) Salvaguardare la salute materno – infantile durante la prima risposta e in particolare l’allattamento al seno come indicato anche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dunque nelle équipe medico-sanitarie che seguono la popolazione, è necessario includere  personale qualificato per affrontare questo aspetto

11) Assicurarsi che vi sia nelle risorse umane impiegate nella gestione della risposta la parità numerica tra uomini e donne.

 c) Partecipazione della popolazione colpita

12) Introdurre nella normativa vigente la possibilità per la popolazione colpita di essere parte attiva, in ottica di collaborazione con le risorse  dispiegate sul campo, per non alimentare meccanismi di passività e assistenzialismo. Valorizzare e favorire l’attivismo di comitati e associazioni locali, siano essi preesistenti o nati a seguito della catastrofe; supportare e accompagnare con personale dedicato e specializzato la costituzione e l’operatività di gruppi, associazioni e comitati che nascono spontaneamente durante la fase di prima risposta.

13) Garantire e valorizzare spazi fisici dedicati alla socialità, al ritrovo, all’aggregazione in tutta la fase dell’emergenza, sia nelle aree di ricovero che in quelle abitative temporanee.

14) Prevedere forme di coinvolgimento, collaborazione e coordinamento per tutte le associazioni del terzo settore locale e non che, pur non accreditate al Sistema di Protezione Civile, operino nel campo del supporto alla persona, sempre in conformità agli standard umanitari internazionali.

d) Comunicazione in emergenza

Saper gestire adeguatamente la comunicazione in emergenza è di vitale importanza, tanto quanto l’emergenza in sé. Raccogliendo i contributi esistenti e quelli emersi negli incontri si raccomanda che:

15) il/la portavoce ufficiale, delegato/a dalle istituzioni, sia competente in comunicazione in emergenza o si avvalga della consulenza di esperti ed esperte in materia, oltre che di professionisti nel campo della psicologia in emergenza;

16) la comunicazione sia biunivoca, ovvero non solo le istituzioni nei confronti della popolazione colpita ma anche viceversa; vanno previsti tempi e modi, anche al di fuori della “diretta”, in cui cittadini e cittadine possano interagire con le istituzioni;

17) siano messi in campo strumenti, tali da garantire notizie chiare e certe (anche capaci di contrastare il diffondersi delle cosiddette “fake news”), nel rispetto delle persone colpite, evitando la spettacolarizzazione del dolore;

18) la comunicazione sia basata sul rispetto e sulla tutela delle differenze di genere, di età, di provenienza geografica e di estrazione sociale, delle disabilità.

NOTE

[1] Cfr. G.Arena, Cittadini Attivi, Laterza, Bari 2009; S.Rodotà, Beni Comuni, Feltrinelli Milano 2013.

[2] Il gender mainstreaming (o mainstreaming di genere) è un approccio strategico alle politiche che si pone l’obiettivo del raggiungimento dell’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini in ogni ambito della società e che prevede l’integrazione di una prospettiva di genere nell’attività di realizzazione delle politiche: dal processo di elaborazione, all’attuazione, includendo anche la stesura delle norme, le decisioni di spesa, la valutazione e il monitoraggio. L’intento principale del gender mainstreaming è di realizzare politiche capaci di contrastare le disuguaglianze tra donne e uomini nella società a partire da un’analisi dei meccanismi che ne sono alla base.

 [3] Con questa raccomandazione si intende: evitare di mobilitare un numero di forze dell’ordine e di volontarie/i di protezione civile sproporzionato al numero della popolazione da assistere; dare la possibilità ai familiari stretti di accedere alle aree di ricovero; dare la possibilità di ritrovo all’interno delle aree di ritrovo; evitare di “marchiare” con braccialetti le persone all’interno delle aree di ricovero.

[4] Il censimento in prima risposta, qualora i dati non siano già dettagliati nel piano di protezione civile comunale, va realizzato avendo cura di raccogliere i dati per sesso, fasce d’età, numero e tipologia di nuclei familiari, evidenziando anche quante sono e dove sono le persone con difficoltà motorie o con problematiche di salute mentale (sempre suddivisi per sesso ed età) così come le persone di origine straniera (per sesso, fasce d’età, paese di provenienza).

[5] Es. le aree allestite in prima emergenza – tendopoli, tensostrutture sanitarie, mense, servizi igienico sanitari – devono essere accessibili, ovvero raggiungibili anche da chi ha ridotta mobilità, in modo sicuro, in fasce orarie adatte a tutti e tutte; garantire la privacy degli individui; essere manutenute e pulite; essere dotate di attrezzature specifiche per bisogni speciali (bagni adatti a persone in carrozzina o con mobilità ridotta, dotati di riduttori e pedane per bambini/e).

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Paola Liliana Buttiglione
Paola Liliana Buttiglione
3 anni fa

Tra gli “Standard qualitativi di assistenza alla popolazione” mi ha molto colpita per la sua attualità questo passaggio “le misure restrittive applicate in prima risposta, possono essere percepite come non motivate e fortemente lesive della libertà personale”. Ora che tutti stiamo vivendo in Italia una fase di emergenza che ci ha costretti ad una lunga quarantena, trovo che la raccomandazione sul garantire la dignità delle popolazioni colpite sia immediatamente comprensibile a tutti. E sempre in questa direzione – non solo in quella di una maggiore efficacia ed efficienza – credo vada anche letta la raccomandazione di rendere partecipi le popolazioni… Leggi il resto »

serena palermiti
serena palermiti
3 anni fa

La disamina dei temi di questa sezione delle raccomandazioni mi sembra veramente completa ed esaustiva. Vorrei solamente puntualizzare un aspetto, che credo si possa far rientrare nel punto 17: la comunicazione in emergenza da parte dei media. Ritengo, infatti, che sia di fondamentale importanza, già in fase di prevenzione pianificare e realizzare degli interventi, informativi e formativi rivolti esclusivamente ai Media, relativamente alla comunicazione delle calamità. Inoltre, attivare in fase di emergenza, tavoli di lavoro integrati in cui coordinare le azioni di comunicazione da parte dei media per veicolare, non solamente informazioni veritiere e corrette, ma anche e soprattutto con… Leggi il resto »

Adriano Piscitelli
Adriano Piscitelli
3 anni fa

Più è alta la formazione sulla prevenzione e la conoscenza dei rischi collegati ad un evento calamitoso, più diventa “facile” la gestione della risposta all’emergenza. Nel caso di eventi molto distruttivi le decisioni devono essere prese in tempi brevissimi pertanto, non sempre è possibile attuare risposte chiare se non esiste una metodologia o una prevenzione alta. E’ molto importante come riportato nel punto “C” il coinvolgimento attivo della popolazione.

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