Gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati da eventi sismici fortemente devastanti in termini di perdita di vite umane e di estensione del danno. Nonostante l’esposizione a un altissimo livello di rischio, l’Italia ancora oggi è un paese privo di una politica post terremoto e privo di un modello programmatico di intervento che consenta di ricondurre alla normalità le situazioni emergenziali. Il presente intervento mira ad analizzare la stretta correlazione tra le azioni intraprese per la risoluzione dell’emergenza e la successiva fase di ricostruzione con l’obiettivo di individuare proposte per migliorare le risposte agli eventi disastrosi.

La fase dell’emergenza, e la sua risoluzione, è stata oggetto di numerosi analisi e codifiche; in particolare, il Codice della Protezione Civile, approvato con Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, individua le azioni da eseguire nell’ambito della gestione delle emergenze di rilievo nazionale. In merito a quanto sopra evidenziato, si ritiene opportuno proporre i contenuti dell’articolo 25 del Codice della Protezione Civile circa le principali attività da eseguire per la risoluzione dell’emergenza:

a) organizzazione ed effettuazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall’evento;

b) ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, delle attività di gestione dei rifiuti, delle macerie, del materiale vegetale o alluvionale o delle terre e rocce da scavo prodotti dagli eventi e alle misure volte a garantire la continuità amministrativa nei comuni e territori interessati, anche mediante interventi di natura temporanea;

c) attivazione di prime misure economiche di immediato sostegno al tessuto economico e sociale nei confronti della popolazione e delle attività economiche e produttive direttamente interessate dall’evento;

d) realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo nelle aree colpite dagli eventi calamitosi finalizzati prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità, in coerenza con gli strumenti di programmazione e pianificazione esistenti;

e) ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e paesaggistici e dal patrimonio edilizio;

f) avvio dell’attuazione delle prime misure per far fronte alle esigenze urgenti di assistenza alla popolazione, anche attraverso misure di delocalizzazione temporanea in altra località del territorio nazionale.

La strutturazione della risoluzione dell’emergenza sulla base di azioni precise ha consentito di raggiungere ottimi risultati in termini di salvezza delle vite umane e di messa in sicurezza delle realtà stravolte dall’evento sismico. Occorre tuttavia approfondire alcune questioni in quanto, gli ultimi terremoti, in particolare L’Aquila 2009 e Centro Italia 2016, nonché i contenuti stessi dell’art. 25, hanno evidenziato la stretta interrelazione tra alcune scelte operate in emergenza e l’avvio della successiva fase di ricostruzione. In particolare, è necessario approfondire gli aspetti legati alle configurazioni territoriali nate, o in formazione, a seguito della realizzazione delle “casette” (le Soluzioni Abitative di Emergenza del Centro Italia o i Moduli Abitativi Provvisori e i Complessi Antisismici Sostenibili Ecologici di L’Aquila), delle nuove scuole, della delocalizzazione delle attività produttive e commerciali, della realizzazione dei centri polifunzionali temporanei.

Un elemento di aiuto alla riflessione può venire dall’osservazione di quanto verificatosi a seguito del terremoto del 1997 in Umbria, dove in alcune delle aree utilizzate per l’installazione dei containers, dopo le casette temporanee in legno, sono stati realizzati piani di lottizzazione; quindi per un’area in cui il container rappresentava il massimo della temporaneità, la trasformazione ha avuto caratteristiche di irreversibilità.

In ambito internazionale la tematica della necessità di una visione a lungo termine delle scelte per la risoluzione dell’emergenza è già stata approfondita. Le principali linee di ricerca e di azione sottolineano la necessità di individuare soluzioni sostenibili che combinino “short-term emergency efforts with the long term development” ed è in tal senso che viene evidenziato il concetto di ricostruzione sostenibile da intendersi come strategia a lungo termine di sviluppo che, proprio a partire dagli interventi di superamento dell’emergenza, individui forme di partecipazione e coinvolgimento della popolazione nella pianificazione, gestione e ricostruzione. Una seconda tendenza di ricerca e azione, in ambito internazionale, si fonda sull’idea che rispetto a “permanent changes” inevitabilmente prodotti da un evento sismico, sono necessarie “permanent solutions”. La comunità scientifica internazionale inoltre evidenzia la necessità di approfondire e migliorare il tema dello “shelter and settlements” nell’”emergency master plan” nell’ottica che “shelter is “more than just a roof”, it is not just the structure that protects from the elements but is the series of activities that a house hold undertake to save and construct, adapt and expand a dwelling, as well as the range of continuing actions and livelihoods that people do in around their home.”.

Gli interventi di L’Aquila post sisma 2009, se riletti alla luce delle esperienze internazionali, hanno posto diversi elementi di riflessione sugli aspetti innovativi del processo avviato in una fase ancora emergenziale. In effetti, non tanto la realizzazione di M.u.s.p. (Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio) e M.a.p. (Moduli Abitativi Provvisori), quanto la costruzione delle C.a.s.e. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecologici), ha mostrato una modalità completamente nuova di intervento post sisma considerando appunto che il manufatto realizzato per una persona sfollata non è soltanto un tetto. Le C.a.s.e. sono abitazioni definitive e per la prima volta in Italia è stato scelto di realizzare un intervento a carattere definivo in fase di emergenza. La scelta ha avuto ripercussioni politiche più che tecniche e sarebbe una grande prova di maturità scientifica analizzare l’intervento in termini territoriali valutandolo rispetto all’esigenza di evitare lo spopolamento di una città capoluogo e rispetto ad una una realtà insediativa particolarmente complessa composta prevalentemente da elementi fisicamente separati ma funzionalmente connessi. Da un lato la presenza di quasi 60 frazioni dislocate in un territorio estremamente vasto, dall’altro una città che, nelle sue forme di sviluppo conseguenti al piano regolatore del 1975, ha seguito un modello di crescita impostato sulla realizzazione di grossi insediamenti residenziali privi di servizi, aree produttive e centri commerciali inseriti in un territorio caratterizzato dalla presenza di un patrimonio paesaggistico-ambientale e storico-culturale di particolare rilievo.

In Centro Italia, caratterizzato da una particolare complessità dell’evento dovuta al susseguirsi di tre terremoti significativi e dovuta all’estensione del territorio coinvolto, con un livello di danneggiamento che ha richiesto circa 220 mila sopralluoghi, è stata operata la scelta di realizzare Soluzioni Abitative di Emergenza ossia case antisismiche, che in virtù dell’esigenza di garantire una sistemazione di breve periodo, sono smontabili e riconvertibili. Ma, proprio ad Amatrice, è possibile osservare come il “centro” più vitale, e di sviluppo, si stia spostando verso la zona di San Cipriano dove sono state realizzate le casette, le scuole (una definitiva e una temporanea), l’area Food e la nuova area commerciale. La presunta reversibilità di interventi tradizionalmente indicati come provvisori nasconde dunque un impatto maggiore sull’ambiente tutt’altro che reversibile. Basti considerare le necessarie opere di urbanizzazione per renderle fruibili le abitazioni temporanee monopiano: scavi, strade, parcheggi, linee elettriche, acquedotti, fognature, gas metano, platee di fondazione in calcestruzzo. Inoltre, come già evidenziato, osservando esperienze precedenti, quali l’Umbria o la Campania, in diversi casi è possibile constatare come le aree che hanno ospitato insediamenti provvisori, una volta dismesse, si siano trasformate in aree di lottizzazione di case a schiera.

Per la ricostruzione dei territori dell’isola d’Ischia colpiti dal terremoto del 21 agosto 2017, la riproposizione del quadro normativo del Centro Italia, già fortemente ispirato al sisma emiliano del 2012, conferma la necessità di individuare disposizioni di riferimento che consentano un avvio rapido della fase di ricostruzione. Sulla base della consapevolezza che il modello “dov’era, com’era” è auspicabile solo per ambiti urbani fortemente caratterizzati da valori identitari storico-architettonico e paesaggistici, e non per le porzioni urbane oggetto di formazione e trasformazione subite a partire dagli anni Ottanta, è necessario individuare delle componenti rispetto alle quali strutturare norme e processi. Di seguito alcune considerazioni in tal senso:

  • il carattere di provvisorietà degli interventi di risoluzione dell’emergenza deve presupporre uno scenario futuro di trasformazione che consenta il ripristino dello stato dei luoghi e l’avvio, secondo una visione strategica della ricostruzione piuttosto che l’avvio di processi intensivi di edificazione;
  • è necessario introdurre nell’agenda degli urbanisti il tema della pianificazione preventiva tale per cui anche gli interventi realizzati in emergenza possano diventare un tassello per ripensare e riproporre il futuro di una città e di un territorio devastati da un evento sismico;
  • è indispensabile coniugare le scelte per gli interventi di risoluzione dell’emergenza e di ricostruzione con uno sguardo esteso alle problematiche preesistenti agli eventi sismici e allo sviluppo territoriale post sisma, anche attivando processi di partecipazione connessi alla pianificazione preventiva.

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